INTERVISTA AD ANTONIO VIVALDI
INTERVISTA AD ANTONIO VIVALDI
di Valentina Lini e Veronica Lini
di Valentina Lini e Veronica Lini
Intervistatore: Buongiorno signor Vivaldi, grazie per averci concesso
quest’intervista. Come sta
Vivaldi: È un periodo particolare della mia vita, ma diciamo che tutto
sommato alla fine sono ancora qui, quindi va tutto bene, grazie.
I: Siamo davvero lieti di incontrarla, è un onore.
Oggi è uno dei musicisti più conosciuti al mondo: quando e come ha iniziato
ad avvicinarsi alla musica?
V: Diciamo che è stata genetica: mio padre, Giovanni Battista
Vivaldi, era violinista presso la Basilica di San Marco. Ha fondato
addirittura il Sovvegno dei musicisti di Santa Cecilia, ovvero una…
confraternita, diciamo, di musicisti del posto, una sorta di gruppo di
musicisti veneziani. Era anche insegnante di violino all’Ospedale dei
Mendicanti, ed è da lui che ho appreso le basi del violino.
Penso di doverlo ringraziare se oggi sono quello che sono diventato
I: Sappiamo che come suo padre, anche lei è diventato maestro di musica; a
tal proposito, vuole parlarci della sua attività al Pio Ospedale della Pietà?
V: La mia attività alla Pietà coincide con un bel periodo della mia vita.
Ho iniziato nel 1703, come maestro violinista, e negli anni a
seguire sono diventato insegnante di viola all’inglese, e ho anche
preso l’incarico di esecuzione e composizione dei concerti.
Sapete, l’Ospedale della Pietà è uno dei più prestigiosi della città, dove
i bambini orfani o abbandonati vengono accolti: ai maschi viene insegnato un
mestiere, mentre alle bambine viene data un’educazione musicale; alcune di
loro, le migliori, sono diventate membri dell’Ospedale stesso.
Purtroppo, nel 1709 ho perso il posto, ma sono stato fortunatamente
riassunto nel 1711 e circa cinque anni più tardi sono diventato maestro
dei concerti.
In questi anni ho composto la maggior parte delle mie opere, e nonostante
poi abbia lasciato Venezia, sono rimasto in contatto con i membri dell’Ospedale
tutta la vita.
V: Effettivamente, ammetto di essere stato una persona abbastanza
“sradicata”.
Ho vissuto a Venezia fino al 1711: dopo mi sono trasferito
a Brescia. Neanche dieci anni più tardi- forse era intorno al 1718-
sono andato a Mantova, dove sono stato nominato maestro di cappella
da camera, alla corte del principe.
Nei primi anni del 1720 sono stato a Milano e a Roma,
dove fui chiamato alla corte del Papa.
Nel 1725 sono tornato a Venezia. Dovevo andare a Ferrara,
ma mi vietarono l’accesso nella città. Infine, nel 1737 mi sono trasferito qui a Vienna,
anche se devo dire che il mio trasferimento non è avvenuto nel clima pacifico
che mi aspettavo.
I: Perché? Cosa intende?
V: Diciamo che sono arrivato a Vienna in un periodo storico complesso, come
lo era il mio stato d’animo: io ero ancora sconfortato, molto deluso,
dall’atteggiamento dell’arcivescovo di Ferrara nei miei confronti, e nel 1740,
pochi anni dopo il mio ingresso nella corte austriaca, l’imperatore Carlo VI
morì. A causa di un’imminente guerra, l’imperatrice ereditaria,
Maria Teresa d’Austria se ne andò in Ungheria, tutti i teatri della città
furono chiusi.
I: Non vogliamo sembrare troppo curiosi, ma è la seconda volta che nomina la città di Ferrara, e adesso ha anche accennato all'Arcivescovo della città. Può parlarci di cosa è successo?
V: Devo ancora digerire l’amarezza di quell’evento.
A Ferrara avrei dovuto mettere in scena un’opera, ma l’arcivescovo, Tommaso
Ruffo, mi proibì di avvicinarmi alla città, perché trovava immorale il
mio comportamento.
A causa delle mie condizioni di salute, non dicevo una messa ormai
da tanti anni, ed ero in buoni rapporti con molte donne, al punto
che alcune di loro mi seguivano nei miei viaggi; è inoltre risaputa
l’opposizione di Ruffo al coinvolgimento dei preti negli affari di spettacolo.
Provai a risolvere la situazione scrivendo una lettera nella quale spiegavo
le mie condizioni di salute precaria, e anche l’onestà ed il rispetto nei
confronti delle dame che mi accompagnavano… ma fu inutile.
I: Non sapevamo tutte queste cose, è davvero sorprendente! Avevamo però sentito parlare di una certa Anna Girò: per caso rientra nel gruppo delle donne a cui avete fatto riferimento?
V: Oh, Annina! Era la mia studentessa prediletta. È un peccato che si sia
ritirata dalle scene… ma fatemi andare con ordine. Anna Girò era il suo nome d’arte,
il suo vero nome è Anna Maddalena Teseire: come forse avete già intuito, ha
origini francesi, da parte del padre, che da quel che ricordo faceva un lavoro
umile, ma inerente al teatro: produceva parrucche.
Quando la presi con me come allieva aveva appena quindici anni, era circa
il 1725. Era così talentuosa che la volli come prima donna in molte delle mie
opere, forse addirittura una trentina! Aveva una carriera così promettente, eppure
nel 1748 ha deciso di ritirarsi dalle scene per sposarsi con un conte, un certo
Antonio Maria Zanardi Landi.
Ho sentito parlare di voci riguardo un nostro rapporto molto più intimo, ma
posso assicurarvi che la nostra complicità si limitava ad un piano artistico-musicale
e di collaborazione.
I: È senza dubbio davvero interessante! E a proposito delle sue opere,
volevamo chiederle di dirci qualcosa su una delle sue opere più famose, ovvero “Le
Quattro Stagioni”. In che periodo l’ha scritta?
V: Penso di dovermi ritenere soddisfatto da quella composizione.
Dopo essere stato invitato a Roma dal Papa Benedetto XIII, verso i primi
anni ’20 del Settecento, sono tornato a Venezia.
Durante il viaggio ho soggiornato nelle campagne mantovane, e
nella mia testa prese forma quest’idea mentre osservavo la natura che mi
circondava.
I: Potrebbe darci una chiave di lettura del brano?
V: Beh, una spiegazione generale ve l’ho già data: per questa composizione
mi sono ispirato alla natura, mentre soggiornavo nei colli
mantovani.
Ho cercato di descrivere in musica le quattro
stagioni dell’anno, accompagnandole da un sonetto ciascuna-
vorrei però precisare che non sono uno scrittore.
Ogni sonetto ed ogni stagione possono essere intesi come momenti
della vita: la Primavera corrisponde all’infanzia, l’Estate alla
giovinezza, l’Autunno alla maturità e l’Inverno alla vecchiaia, intesa però
come saggezza.
I: Può parlarci nello specifico del brano della Primavera?
La Primavera inizia con un’atmosfera gioiosa, che indica il risveglio
della natura: ho provato ad interpretare il canto degli uccelli, il rumore
dell’acqua che scorre nei ruscelli, la quiete che viene interrotta da un temporale
primaverile, che fa scappare gli animali.
Torna poi il sereno, e vi è la scena di un pastore dorme con il suo cane
all’ombra delle piante; in lontananza si sentono altri cani ed infine, vi è
una danza campestre della Primavera, compiuta da ninfe e
pastori, accompagnata dalle zampogne.
I: La ringraziamo per la sua pazienza e disponibilità
signor Vivaldi, è stato davvero piacevole. E adesso, ascoltiamo il brano della
Primavera.
V: Grazie a voi per l’ospitalità! Spero che il brano possa essere di vostro
gradimento!
Complimenti a tutti per questi lavori sull'arte del 700! Veramente ben strutturati.
RispondiEliminaBravissimi!!!
RispondiElimina